Padri e figli

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“Perché prima” dell’avvento del Signore “deve venire Elia?”. Perché, oggi, abbiamo di nuovo bisogno di Elia? Non “è venuto già” tante volte nella nostra vita? Anche domenica scorsa, forse anche ieri, e “non lo abbiamo riconosciuto; anzi, l’abbiamo trattato come abbiamo voluto”. Abbiamo preferito tagliare la testa ai pastori, catechisti, educatori, genitori, fratelli, che, come fece Giovanni con Erode, ci annunciavano la verità; che cioè non era lecito l’adulterio che stavamo consumando, perché ogni peccato in fondo è un tradimento della nostra primogenitura, del rapporto sponsale con Cristo per il quale siamo rinati nel battesimo. Nei tanti nostri rifiuti però era Cristo che si offriva, ancora, per salvarci. In chi abbiamo rifiutato era Cristo che “soffriva per opera nostra”. E soffriva per amore. Proprio per questo abbiamo di nuovo bisogno di Elia, oggi. Perché la nostra vita non è stabile, e “ogni cosa” è in disordine. Come il cuore dei padri e dei figli. Come il tuo e il mio, padre o figlio che siamo. Il Signore, infatti, rispondendo a questa domanda, fa riferimento alla profezia di Malachia: “Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore, perché converta il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri; così che io venendo non colpisca il paese con lo sterminio” (Ml. 3,23-24). Ogni stabilità e certezza nella vita sorge da questa conversione-riconciliazione, perché ogni disordine è frutto del peccato consumato nell’Eden, la ribellione dei figli al Padre… La missione di Elia compiuta da Giovanni che è immagine della Chiesa, consiste nel volgere i cuori degli uni verso gli altri; e questo si chiama educazione. Etimologicamente, infatti, educare significa condurre fuori. Solo chi è liberato da se stesso e può uscire dal proprio ego è “ristabilito” – di nuovo stabile – cioè adulto. L’Avvento, che è immagine della nostra vita, è per questo un tempo nel quale farsi educare. Innanzitutto con la predicazione che illumina la divisione figlia del peccato che persiste tra noi, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità. Quando il cuore del figlio è schiavo dell’orgoglio si chiude ostinatamente a quello del padre; non può ascoltarlo e ubbidire, perché non ammette che egli abbia qualcosa da insegnargli. Allo stesso modo il cuore di un padre schiavo dei propri schemi, incapace di accettare e amare davvero il figlio nelle sue debolezze, stretto nella pretesa di vedere realizzati in lui i propri sogni, è altrettanto malato di orgoglio. E lo schema si ripete con Dio… Ma oggi ci viene data un’altra possibilità di convertirci. Oggi è il “prima” della venuta del Signore, che potrebbe essere stasera. Perché è certo che tornerà, in un fatto, incarnato in un fratello, e se non abbiamo accolto Elia, precipiteremo in una divisione ancora più profonda. Elia “viene” con la Chiesa, nella liturgia, nella parola e nella preghiera per “convertirci”, perché i cuori non si stanchino in sterili discussioni, in antagonismi e divisioni laceranti. Ogni uomo è figlio di un padre! Ogni figlio è generato nel peccato, ha bisogno di rinascere! Convertire il cuore del padre verso il figlio significa renderlo consapevole della ferita che gli ha trasmesso, perché è portatore dello stesso virus; significa schiudere gli occhi del padre sull’indigenza originale di suo figlio. Mentre convertire il cuore del figlio verso il padre significa illuminarlo sul mistero della propria libertà ferita; significa, per così dire, “scagionare” il padre dalle responsabilità circa la propria coscienza, così spesso e frettolosamente addossate al genitore. Convertire i loro cuori significa correggerne il cammino, illuminarne la fragilità, perché si pongano, non già l’uno contro l’altro in una lotta per affermarsi, bensì come mendicanti in attesa della salvezza. Elia viene a ristabilire ogni cosa nel suo ordine, saldamente fondate in Dio, cui spetta sempre il primo posto.

 

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